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I musicisti sono sempre stati derubati – ecco come rimediareTempo di lettura: 6 min.

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Il modello di business dell’industria musicale è sempre stato malfunzionante. Per anni gli artisti sono stati pagati una frazione dei guadagni che produce la loro musica.

Il modello di business dell’industria musicale è sempre stato malfunzionante. Per più di cent’anni gli artisti sono stati pagati una frazione dei guadagni che produce la loro musica.

Prendete Enrico Caruso, un cantante lirico italiano dell’inizio del 1900, accreditato per essere stato uno dei primi artisti registrati.

Durante la sua vita egli fece più di 488 registrazioni, quasi esclusivamente per Victor, una casa discografica adesso conosciuta come RCA e di proprietà della Sony Music.

Mentre si dice che questo rese Caruso incredibilmente ricco, facendogli guadagnare quasi due milioni di dollari, la sua casa discografica raccolse quasi il doppio di quella cifra e oggi continua a fare soldi dalle sue registrazioni.

Molti pensano che l’età d’oro del vinile e dei CD sia stato un periodo in cui gli artisti venivano compensati abbastanza, ma i musicisti non facevano esattamente soldi a palate.

Un rapporto suggerisce che, quando i dischi erano ancora diffusi, per ogni mille dollari di album venduti, il 18% per cento andava ai musicisti, il 63% alla casa discografica e il 24% ai distributori. Il che significava che ogni artista riceveva una somma complessiva di $ 23.40.

Poi arrivò internet.

I tempi stanno cambiando

Secondo l’Economist, nel 1997 l’amministratore delegato Jeff Bezos stava cercando opportunità di vendita online.

Considerò di vendere musica, ma realizzò presto che vi erano soltanto poche etichette discografiche principali e queste avrebbero avuto il potere di reprimere qualsiasi iniziativa online che presentava una notevole competizione.

Il primo servizio di sharing musicale online, Napster, bypassò completamente le case discografiche e rese possibile la condivisione gratuita da pari a pari di file musicali compressi.

Ovviamente questo non andava bene per esse e non passò molto tempo prima che Napster si trovò ad affrontare contenziosi da ogni angolo. La compagnia venne chiusa per ordine del tribunale nel 2001, dopo meno di tre anni di operazioni.

Il brand Napster sopravvisse soltanto perché gli asset della compagnia furono liquidati e comprati da altre compagnie attraverso procedure fallimentari.

Soldi facili

Allora cosa è cambiato per rendere i servizi di streaming online un modello di business attuabile per compagnie come Spotify ed Apple Music?

La risposta è… nulla.

I musicisti non stanno guadagnando di più adesso, nonostante abbiano un canale di reddito. Spotify ammette che il pagamento dei diritti medi per-stream ai titolari dei diritti si aggira fra i 0.006 ed i 0.0084 dollari.

Come dimostra questo modello, un artista avrebbe bisogno di avere 200.000 ascolti al mese su Apple Music e 230.000 ascolti per guadagnare un salario minimo americano.

Neanche gli investitori si stanno arricchendo.

Nonostante un tasso di crescita nei guadagni di 40% annui e la presenza di 140 milioni di utenti attivi ogni mese, Spotify ha riportato una perdita operativa trimestrale di 41 milioni di euro (all’incirca 47,814,000 dollari) a maggio 2018.

Jimmy Lovine, il cui servizio nascente Beats Music è stato acquistato da Apple Music, lo scorso anno ha comunicato che lo streaming musicale non è un ottimo business e che non c’è margine di profitto.

Nonostante le perdite, i gruppi dirigenti hanno comunque portato a casa la pagnotta. Lo scorso anno, i dirigenti di Spotify hanno guadagnato, in media 1.34 milioni di dollari a testa, con i primi cinque che hanno portato a casa più di 26 milioni di dollari fra di loro.

Ma senza dubbio i più grandi vincitori sono, come prevedibile, le case discografiche. L’anno scorso le “grandi tre” hanno battuto il record di 14.2 milioni di dollari al giorno dai servizi di streaming come Spotify ed Apple Music. Soltanto l’Universal Music Group ha guadagnato 4.5 milioni ogni 24 ore.

Allora cosa si può fare per aggiustare questo modello di business disfunzionale ed assicurarsi che gli artisti ricevano un giusto compenso? Il produttore e compositore  austriaco David Brandstatter, pensa di avere la risposta.

“I servizi dello streaming fanno guadagnare agli artisti centesimi, in parte perché una grande quantità viene inghiottita dalle case discografiche.

Spotify non è profittevole, ma il pubblico non sarebbe a favore di un aumento del prezzo”, dice David, “L’unico modo che hanno artisti e collaboratori per ricevere un giusto pagamento per il loro impegno è quello di decentralizzare l’industria e togliere il potere dalle mani di case discografiche e servizi per lo streaming.

La tecnologia blockchain è la soluzione perfetta per questo”.

Negli ultimi anni, David ed il suo partner in business Dr. Sascha Dennstedt hanno sviluppato una piattaforma che sia chiama Qravity, che permette ai creativi di connettersi tra di loro e di sviluppare e monetizzare insieme del contenuto digitale originale.

La piattaforma utilizza token virtuali sulla blockchain di Ethereum per tracciare la creazione di media digitali e distribuire i fondi del progetto fra i membri della squadra creativa.

David continua, “Utilizzando Qravity, i musicisti possono collaborare e lavorare in cambio di token del progetto.

Il contenuto andrà direttamente al mercato, così se un cantautore ha, per esempio, 30% di fondi investiti nel progetto, egli riceve il 30% del guadagno ogni volta che le sue canzoni vengono scaricate.”

La piattaforma contiene una vasta serie di strumenti di project management e comunicazione per aiutare i creativi a collaborare a distanza; inoltre li premia con quantità di token via via più grandi mentre completano ogni traguardo.

Vogliamo riformare completamente l’intera industria”, dice David, “Con Qravity, stiamo trasferendo il potere ed i profitti dai dirigenti ai talenti, in maniera trasparente ed equa”.

Di: Nulltx

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Emanuele

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Crypto-lover. Nerd tra i nerd. Ama analizzare numeri e grafici. Crea statistiche anche dove non necessario.
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Commenti

Una risposta

  1. Ottimo articolo Emanuele. Un primo aiuto a geeks e creativi.. inoltre non credo che qui le case discografiche potranno chiudere alcunché, vero? Far comunicare direttamente i creativi in team project è un idea innovativa interessante, ci vorrà più informazione in merito. Ciao

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