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Decentralizzazione: Il nuovo paradigma per il cambiamentoTempo di lettura: 9 min.

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La decentralizzazione del web e dei social network non sono nuovi nel dibattito mainstream. Tuttavia il susseguirsi di eventi politici e sociali che stanno coinvolgendo anche il mondo del web, richiedono un'accelerazione al cambiamento e l'adozione di un nuovo paradigma.

In questo articolo non affronteremo tematiche “tecniche” ma osserveremo il  mondo blockchain da una prospettiva più etica e sociale.

Con uno sguardo il più imparziale possibile, si vuole offrire uno spunto di riflessione sul contesto storico economico e sociale del nostro tempo, elementi che ci aiutano a  comprendere in un momento di grande e apparente caos i possibili risvolti nel breve periodo.

Una crisi epocale, non solo economica ma anche strutturale, di una vera e propria mancanza di fiducia nel sistema nel suo insieme che disgrega ogni forma di coesione.

Serve un nuovo paradigma e diversi segnali ci inducono a pensare che questa risposta possa  arrivare dalla decentralizzazione.

L’era dei giganti

La caduta del Muro di Berlino ha rappresentato per l’età contemporanea quello che tra il XV e XVIII secolo fu “l’epoca delle scoperte” con il contatto tra il “vecchio mondo” e il “nuovo mondo”.

Nello stesso modo, a cavallo tra la fine del vecchio e il nuovo millennio, i mercati occidentali hanno incontrato quella parte di mondo “ancora sconosciuta”.

Ha così avuto inizio un processo socio-politico che ha portato a delegare al mondo privato-imprenditoriale il disegno e l’architettura di ampi settori dell’economia e non solo… tra questi l’informazione e il mondo digitale.

Questo processo se da una parte può aver generato maggior efficienza e flessibilità, dall’altra ha creato sistemi di semi-monopolio che hanno dato seguito ad una serie di notevoli problematiche:

  • sicurezza sui data protection
  • alterazione della libera concorrenza
  • disinformazione
  • violazioni delle proprietà intellettuale e industriale

Elementi che ci hanno condotto ad una polarizzazione ed appiattimento del pensiero critico, ad una incapacità di scernimento, a problematiche legate al “microtargeting” politico e pubblicitario in grado di sfruttare le nostre tracce digitali in maniera sempre più raffinata, il tutto può essere il contrario di tutto, l’inevitabile crisi della fiducia.

Anche Amnesty International in un report è arrivato a condannare i big del web:

“Il modello di business di Google e Facebook basato sulla sorveglianza, è incompatibile con il diritto alla privacy e costituisce una minaccia per tutta una serie di altri diritti come la libertà di opinione, espressione, pensiero e il diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione”.

Una minaccia sistemica per i diritti umani nel mondo.

Il punto di non ritorno

La grande ondata di entusiasmo che ha coinvolto il mondo dei social network negli ultimi anni pare stia subendo una battuta d’arresto, o per lo meno sta aprendo un ampio dibattito sull’influenza di questi sulla vita sociale e democratica dei paesi.

Quel mondo che si presentava ai nostri occhi come una grande occasione di connessione, di dialogo e persino confronto democratico, ha disatteso le nostre aspettative.

Ad oggi possiamo considerare tutto ciò un errore di valutazione…

Per natura ed organizzazione strutturale i social non nascono per questo scopo, se da una parte sono ottimi per vendere annunci e creare strumenti di business, ma anche per mantenere forme di “relazioni a distanza” sono altamente pericolosi e ingannevoli se utilizzati per informarsi su ciò che accade nel mondo.

Sistemi che premiano la generazione del profitto, fondati sull’economia dell’attenzione e sulla dipendenza dei suoi “clienti”, non possono essere strumenti etici di confronto.

Ne sono la prova il ruolo che i social stanno avendo in tutte le fasi più tumultuose della storia contemporanea, dalle elezioni politiche alle rivolte sociali, da strumenti per incitare rivolte e violenze a strumenti di censura.

Se il darci le informazioni che ci volgiamo sentir dire crea dei danni, il decidere ciò chè possiamo dire può davvero rappresentare il punto di non ritorno.

Reazioni e prospettive

La capacità dei giganti del web di chiudere unilateralmente siti e infrastrutture ha creato reazioni e timori nel mondo web, così come in quello cripto.

Gli utenti stanno migrando verso sistemi più indipendenti, con minor rischio di censura e profilazione.

Telegram ha superato i 500 milioni di utenti attivi, con più di 25 milioni di iscritti in 72 ore:

Tra cui molti orfani della piattaforma Parler, oggi alla ricerca di un nuovo servizio di hosting, dopo la sospensione del servizio da parte di Amazon Web Service.

 

Anche l’app di messagistica Signal, alternativa a WhatsApp, ha conosciuto un notevole incremento di iscritti, anche a fronte della recente modifica da parte di quest’ultima delle nuove condizioni inerenti la privacy (la possibilità di condividere dall’8 di febbraio dati personali con la sua società madre Facebook).

Non sono mancate le reazioni dal mondo cripto, Vitalik Buterin si è definito preoccupato per l’evolversi della situazione:

” Il fatto che così tante persone, che normalmente non avrebbero mai accettato che un tale potere fosse in mano ad aziende private, stiano ora incoraggiando i CEO del settore tecnologico a calpestare funzionari democratici eletti merita una riflessione…”

Daniel Lamer co-fondatore di EOS e BitShares, ha dichiarato di essere al lavoro su piattaforme censorship-resistent e  ha parlato di come diventeranno sempre più importanti in un futuro, dove sempre più persone si potranno ritrovare allontanati o sospesi dalle piattaforme tradizionali.

La blockchain è la risposta?

La domanda di democratizzazione del web non può più passare dalle oligarchie private o dagli interventi statali, in quanto ormai percepiti come ingerenze ingiuste, in quanto questa è una crisi che riguarda il concetto di fiducia stessa.

Un nuovo ecosistema che porti al centro il concetto di responsabilità, una decentralizzazione degli scambi dei contenuti e delle informazioni, un sistema di hosting aperto, una governance condivisa e una monetizzazione democratica dei dati per gli utenti.

Se ne parla da tempo, ma a che punto siamo?

L’idea di un web decentralizzato non è nuova.

I grandi colossi tecnologici e finanziari all’inizio si sono espressi negativamente riguardo la tecnologia blockchain considerandola una minaccia, tuttavia l’internet decentralizzato è riuscito ad imporsi, come a voler rappresentare una normale risposta ai problemi trattati.

Anche se  incompatibile con gli interessi tipici del web centralizzato, basato sulla pubblicità, la profilazione massiva, il web 3.0 risulta utile per distribuire il carico di moderazione dei contenuti e eliminazioni dei “professionisti dell’odio” i cosiddetti hate speech, responsabilità che ricadono interamente sulle piattaforme.

Nella possibilità di liberarsi dall’annosa problematica della moderazione dei contenuti, scaricandola sugli utenti, potrebbe celarsi  l’interesse sulla decentralizzazione di social network come Facebook e Twitter…

Nel web centralizzato quando ci connettiamo alla rete, i computer  cercano informazioni archiviate in un posto fisso, di solito un singolo server.

Nel web decentralizzato al contrario, la informazioni sono recapitate in base ai contenuti, possono essere archiviate  in più posti nella rete, coinvolgendo anche tutti i computer che forniscono servizi ed accedono ad essa (peer-to-peer).

Non vi è la possibilità di controllare un account, ogni responsabilità ricade sull’utente (nel bene e nel male), una nuova logica di responsabilità che dovrà certamente inquadrarsi in un sistema di diritto.

Conclusioni

La blockchain applicata al web dopo anni di dibattito, è arrivata a noi per rimanere.

Anche i big del web se ne sono accorti, Facebook e Twitter parlano della possibilità di decentralizzare i propri servizi,  un bene, ma bisogna mantenere alta l’attenzione, capire le reali intenzioni, “distribuito” non è per forza “decentralizzato”, inoltre non tutti i social network decentralizzati sono totalmente decentralizzati.

La domanda è: saranno mai davvero disposti ad andare in senso opposto allo sfruttamento dei nostri dati, elemento che rappresenta il loro principale business?

Alcuni registrano i dati su server indipendenti tra di loro, dando la possibilità all’utente di scegliere su quale nodo registrarsi.

Nei social interamente decentralizzati l’utente resta l’unico proprietario dei dati, che protetti da tecnologie crittografiche possono essere condivisi solo con esplicito consenso del titolare.

Concludo richiamando alla necessità della decentralizzazione attraverso le parole del co-fondatore di Ethereum Vitalik Buterin:

Penso che lo spazio di decentralizzazione che si allontana dalla mentalità “ogni uomo per se” (le persone pubblicano semplicemente cose, il tuo lavoro da filtrare e cercare) e verso la mentalità da “arcipelago” (scelta di diverse comunità di autogoverno) sia un enorme e importante passo avanti.

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Raffaele Scianni

Raffaele Scianni

Appassionato di tematiche sociali e ambientali. Credo che la decentralizzazione sia il nuovo orizzonte possibile per l'umanità. Questa convinzione mi ha portato ad approfondire la blockchain ed il progetto Ethereum.
Raffaele Scianni

Raffaele Scianni

Appassionato di tematiche sociali e ambientali. Credo che la decentralizzazione sia il nuovo orizzonte possibile per l'umanità. Questa convinzione mi ha portato ad approfondire la blockchain ed il progetto Ethereum.

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